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Parlerò dei tuoi occhi

Parlerò dei tuoi occhi

e non avrò tempo per rimpianti,

che destino beffardo

quello che fa falsare per vivere.

Io e le mie lacrime tarde

ed i miei respiri malsani

siamo la venere nera

che ammalia la sorte

e tu sai che in amore

si gioca solo d’azzardo,

per chi è già solo

non fa paura il restarlo.

Tu rara creatura

perché ti nascondi?

In una foresta di pensieri spinati

sei la rosa rossa del deserto

ed io tra lacrime asciutte

per te ho desiderato sanguinare,

forse sai, per potermi assetare.

Fai in fretta a scoprirti,

che il demonio è dormiente,

la luce buia tesse trame d’essenza

ma il tuo sguardo scintilla

ed un moto caotico mi attraversa.

Non mi importerà poi

se nuda a terra, infine

bacerò veleno per dimenticare,

perché sono quelle emozioni incazzate,

tornaconto del ricordo,

che un po’ del tuo vivere,

almeno, mi lasciano assaporare.

L’assenza di parole

Sospendo lo sguardo in un arcobaleno

dettaglio di un cielo a luci spente,

gli occhi cercano quello che non c’è

perché la prossima fermata del fallimento

è star male dopo uno sguardo.

Vuoto, vuoto, c’è solo vuoto

nessun bagliore in voi,

non è lo stesso che voglio…

ma perché per affievolire il dolore

tutto deve sparire dagli occhi?

La folla affluisce in piazza

in fretta, sempre più in fretta,

mani giunte, parole in preghiera

e l’indifferenza di cuore

come comune accordo

per non essere partecipi di sofferenza;

eccola sono la pecora nera

del gregge fedele alla legge,

mi guardano con disprezzo

se commetto il peccato

di rubare un po’ di speranza.

Ma io la mia preghiera

la custodisco nel cuore,

lontana da occhi indiscreti

e vicina a quelli già colmi di luce:

L’apatia non è atarassia

ma l’abisso in cui precipita la lacrima

quando il volto maschera le contraddizioni

di chi fuori ride e dentro piange;

apro la finestra, le stelle cadono

in un cielo buio che le avvolge.

Fammi essere l’abbraccio

per chi sparisce in un silenzio più attento,

Fammi essere gli occhi, quelli

che ascoltano l’assenza di parole.

Lo chiamano romanticismo ma per me sono emozioni

Vele al vento

e brughiere immense

giacciono nei mie pensieri

quando al mio fianco

la tua ombra mi segue,

così vicina pare

ma così distante,

che devo ascoltare il tuo silenzio

per riempirlo di parole.

L’imbrunire è la rotta

di noi passeggeri solitari,

corpi vitrei, infranti

dal sogno di un mondo ideale,

se non vedessi le crepe

cicatrizzate sulla pelle

forse chiamerei coraggio, il sogno,

e non paura l’illusione

perché quando mi prendi per mano

non c’è confine tra realtà

ed ingenui idealismi

se in me tutto ha il colore del fuoco

e delle acque mentre ardono

e dissetano lo spirito.

Ed io vorrei e non vorrei

farla finita,

Tramonta alle spalle

Il velo di scuse,

lontano un poco

quel tenue calore sulla mia pelle,

ma c’è sempre

un inizio difficile

per un finale

da non dimenticare.

Allora scusami

se traggo i miei occhi

timorosi di sfiorare i tuoi,

forse non sai

che aprono il cuore

quando si chiudono le porte,

calamite di luce

che si muovono nel buio,

e qui nel

paradiso dei dannati,

sono il sole

di un angelo caduto

che altro non ha che vivere

la surreale condanna

di ciò che ruba la ragione

di ogni irragionevolezza.

mio pensiero su…

A volte ci aggrappiamo alle persone, come se loro fossero l’ancora della nostra salvezza perché quell’ancora è il respiro di vita dopo anni in apnea, perché  troppe volte perdiamo il fiato per rincorrere la vita quando dovremmo essere noi a togliere il respiro ad essa.

A volte rincorriamo una luce, quella che ci dice:”si la direzione giusta è lì”, perché nella luce vediamo la parte migliore di noi, quella che è sempre rimasta in ombra, quella che vorrebbe essere ma non è.

A volte ci basterebbe solo un po’ più di amore, quell’amore che ci tende la mano, quell’amore che ci da fiducia, quell’amore che ci vede come veramente siamo, quell’amore che non se ne va, quello che niente chiede se non amore.

Quell’amore che tutti cercano ma solo pochi danno.

Perché l’amore è forza ma anche debolezza, è coraggio ma anche paura, è chiedere ma anche donare, è vincere ma anche perdere. Il vissero per sempre felici e contenti è un finale che sta troppo stretto a chi sa che l’amore non è così semplice e scontato come ci fanno credere; l’amore richiede impegno, sacrificio e dedizione e capacità di saper conciliare la propria felicità con quella degli altri. 

Ma ciò che è importante è che l’amore non è mai dolore, né peccato, né egoismo, né vera sconfitta e che arricchisce la nostra vita di una sensazione unica e positiva.

Non trascorriamo i nostri giorni a sognare che l’amore ci trovi, non aspettiamo che bussi alla nostra porta e ci renda tutto più semplice, ma impariamo noi stessi che non è mai troppo tardi per cominciare ad amare.

La casa dei briganti

Nella casa dei briganti era l’ora di rubare l’amore.

Harry stava versando il tè caldo in un paio di tazzine. Il tè andava servito rigorosamente con un goccio di latte come richiedeva la tradizione inglese. Prese un cucchiaino e incominciò a girarlo nella tazza osservando con attenzione le piccolo onde che si andavano formando sulla superficie. Perse alcuni minuti a ripetere la stessa meccanica cerimonia anche con le altre tazzine per poi poggiarle infine sul vassoio.

Nicole entrò in cucina proprio in quel momento.

  • Ho voglia di vino, apri una bottiglia- sussurrò afflitta, poggiandosi a peso morto su una sedia.

Harry non aprì bocca. Prese le tazze di tè, rovesciò il liquido nel lavello e poi le gettò a terra. Esse si frantumarono disperdendosi sul pavimento della cucina ed egli rimase ad osservarne i cocci con uno sguardo vuoto e malinconico.

In un angolo della stanza un altro spettatore aveva assistito con impassibilità alla scena, si trattava di Set il capo dei briganti. Set aveva una caratteristica che lo distingueva dai suoi compagni: nessuno lo aveva mai sentito parlare. Ma questo non era mai stato necessario perché bastava un sguardo affinché tutti facessero come lui tacitamente ordinava.

Set prese un sigaro dal taschino, lo poggiò con attenzione sulle labbra e iniziò a fumarlo con calma. Non ne aspirò il fumo ma ad ogni tiro lasciò che la bocca lo assaggiasse appena.

La stanza fu preso avvolta da un odore inconfondibile.

Era il segnale.

Al richiamo di quell’aroma tutti i membri della banda entrarono silenziosamente in cucina e presero a osservare il loro capo attendendo gli ordini.

Fu Herry il primo a prendere parola:

  • Cazzo, ruberei i tuoi pensieri per sapere cosa ti passa per la testa- disse.

Set squadrò il compagno e abbozzò un sorriso. Poi riabbassò lo sguardo a terra, lasciò cadere la cenere a terra e poi fece un altro tiro.

Tutti compresero:

I cocci andavano aggiustati.